Sfatiamo subito un mito. Non esistono volti perfetti e volti imperfetti. Ovali regolari, visi rotondi o squadrati, allungati o triangolari, la meraviglia è che ogni volto porta con sé caratteristiche morfologiche che lo rendono speciale. Anche in termini di carattere.
Guardiamo l’arte: un artista, quando deve disegnare un volto sentimentale, lo allunga; quando insegue un carattere volitivo, lo squadra; per imprimere un carattere gioioso, lo arrotonda; se lo vuole scattante, lo triangolarizza. Ma questi volti sono tutti belli e nella loro unicità sta la sola differenza tra l’uno e l’altro.
Quando studio un cambio look – esperienza sempre affascinante come vi ho raccontato nel mio precedente post – parto sempre dal face code e la logica da seguire è quella del bilanciamento tra volumi e aderenze, per portare l’attenzione sullo sguardo attraverso i capelli. Secondo il principio del “peso visivo”, che insegno anche ai miei ragazzi, per lavorare sulla parte del volto che si prende tutta la scena – poveri noi – quando qualcosa sbilancia l’equilibrio delle proporzioni. Voglio dire che il punto focale, tra i due piani del volto, resta sempre lo sguardo: noi siamo nati per guardarci negli occhi. Ci sono, però, alcune caratteristiche del volto che, se vengono male interpretate o esasperate, ci distolgono e ci distraggono, portandoci a guardare altrove.
Il disegno mi ha aiutato molto ad affinare questo studio. Una passione che mi appartiene da sempre, iniziata forse guardando mia madre disegnare i suoi cartamodelli, da brava sarta qual era, e poi coltivata anche con l’aiuto di alcuni amici artisti, una su tutti Daniela Balsamo.
È così che ho scoperto meglio i segreti del volto. Quando guardo un volto di donna e lo riporto sul foglio con la matita, ne rilevo prima la forma e il peso visivo. E mi chiedo quale parte, per dimensione e caratteristiche, domina sulle altre secondo alcune regole matematiche di base, ben precise. A quel punto, ragiono in termini di taglio e colore, per ricreare un’armonia. E parto sempre disegnando la silhouette esterna, che tocca l’aria, e la silhouette interna, che incornicia il volto con ciuffo o frangetta.
Tralasciando l’ovale regolare alla Charlize Theron, il cosiddetto venusiano, che consente di spostarsi su varie soluzioni a seconda del gusto personale, ci sono tre tipologie di forma del volto che hanno maggiori necessità. Ci sono i volti allungati, che perdono larghezza: in questi casi l’ideale è immaginare e realizzare, attraverso il taglio e il colore, dei volumi “push up” di riempimento, disegnati sui capelli, sia corti, che lunghi, con una preferenza per la media lunghezza, per creare maggiore orizzontalità e dare una sensazione di larghezza. Anche mediante il colore – vi ricordate il color code? – mettendo in luce tutto ciò che cade dall’orecchio in giù e il contorno che accompagna il viso. Perché, nella tecnica del riempimento cromatico, la luce dilata mentre lo scuro sfila.
Ci sono i volti tondi o quadrati, che perdono verticalità, fino quasi a fare equivalere le due dimensioni, lunghezza e larghezza: in questi casi, si gioca sui volumi “slim”, sottili, per recuperare verticalità con il taglio, lo styling e il colore, nelle tre lunghezze (corto, lungo, medio) che devono tener conto anche di altri elementi quali il collo e l’età. Di certo, sono da evitare i bob all’altezza delle gote o che si fermano prima del mento e tutte le forme pari, che nascono per riempire, optando per una linea più scalata, che invece sfila. Il colore, poi, deve giocare con un mix di chiaroscuri che regala molte ombraggiature sulle parti più piene e su quelle che sagomano il volto, soprattutto dalle orecchie in giù, per verticalizzare.
Ci sono, infine, i volti spigolosi, quelli affusolati e con il mento appuntito, triangolari, a diamante, o con l’attaccatura della fronte a cuore: in questi casi serve un sistema di volumi “sweet” per addolcire. Questi volti mal sopportano tutti i tagli che li riempiono verso il basso, non va bene svuotare troppo, ma neanche riempire con eccesso di volumi. E bisogna dare la giusta luce, illuminando le parti più sottili e spigolose, con una morbidezza quasi da make up.
Tutto questo mi piace immaginarlo e vederlo attraverso il disegno, prima di prendere in mano le forbici. Già in quel disegno vedo concretizzarsi come potete essere, come posso aiutarvi a essere. E quando poi quell’immagine schizzata su carta la vedo realizzarsi sui vostri volti, allora sì che «l’occhio si posa» come diceva mia madre davanti a un abito riuscito bene. Per dire che l’occhio si rasserena, perché tutto è in equilibrio e l’attenzione la portiamo lì dove è bene portarla. In modo spontaneo, in armonia.
Super! Si potrebbe avere una consulenza in remoto?
. Molto interessante